GIORGIO AGAMBEN - L’AMICO (2007)

ADVERTÊNCIA AO LEITOR: O curto ensaio compõe-se de 7 secções, 25 parágrafos e 94 períodos. Redispus o ensaio filosófico literário agambeneano em forma de literatura gnômica ou sapiencial. Transpus o texto italiano para o brasileiro, período por período, sempre sentindo e adivinhando o pensamento do autor no original e como ele se expressaria em brasileiro caso  ele soubesse o brasileiro como eu sei. Em 2009, este texto de Agamben, foi traduzido por Vinícius Nicastro Honesko e publicado junto com outros dois ensaios (“O que é o contemporâneo”, “O que é um dispositivo”) pela Argos, Unichapecó.

José Luiz Caon


Giovanni Serodine O encontro dos apóstolos Pedro e Paulo no caminho para o martírio
Texto de Agamben:



Agamben L’amico SECÇÃO 01\§01:01/94:
L'amicizia è cosi strettamente legata alla definizione stessa della filosofia, che si può dire che senza di essa la filosofia non sarebbe propriamente possibile.



Agamben L’amico SECÇÃO 01\§01:02/94:
L’intimità fra amicizia e filosofia è cosí profonda che questa include il philos, l’amico, nel suo stesso nome e, come spesso avviene per ogni prossimità eccessiva rischia di non riuscire a venirne a capo.











Agamben L’amico SECÇÃO 01\§01:03/94:
Nel mondo classico, questa promiscuità e, quasi, consustanzialità dell'amico e del filosofo era scontata ed è certamente per un’intenzione in qualche modo arcaicizzante che un filosofo contemporáneo - al momento di porre la domanda estrema: "Che cos’è la filosofia? - ha potuto scrivere che questa è una questione da tratare entre amis.


Agamben L’amico SECÇÃO 01\§01:04/94:  
Oggi la relazione fra amicizia e filosofia è, infatti, caduta in discredito ed è con una sorta di imbarazzo e di cattiva coscienza che coloro che fanno professione di filosofia provano a fare i conti con questo partner scomodo e, per cosí dire, clandestino del loro pensiero.

Agamben L’amico SECÇÃO 01\§02:05/94:
Molti anni fa, io e un mio amico, Jean-Luc Nancy, avevamo deciso di scambiarci delle lettere sul tema dell’amicizia.

Agamben L’amico SECÇÃO 01\§02:06/94:
Eravamo persuasi che questo fosse il modo migliore di avvicinare e quasi "mettere in scena" un problema che sembrava altrimenti sfuggire a una trattazione analitica.

Agamben L’amico SECÇÃO 01\§02:07/94:
Io scrissi la prima lettera e aspettai non senza trepidazione la risposta.

Agamben L’amico SECÇÃO 01\§02:08/94:
Non è questo il luogo per tentare di comprendere per quali ragioni - o, forse, fraintendimenti - l'arrivo della lettera di Jean-Luc significò la fine del progetto.

Agamben L’amico SECÇÃO 01\§02:09/94:
Ma è certo che la nostra amicizia – che nei nostri propositi  avrebbe dovuto aprirci un accesso privilegiato al problema - ci fu invece di ostacolo e ne risultò, in qualche modo, almeno provvisoriamente oscurata.

Agamben L’amico SECÇÃO 01\§03:10/94:
È per un analogo e, probabilmente, consapevole disagio che Jacques Derrida ha scelto come leitmotiv del suo libro sull'amicizia un motto sibillino che la tradizione attribuisce ad Aristotele e che nega l'amicizia nello stesso gesto con cui sembra invocarla: ‘o philoi, oudeis philos’, "o amici, non vi sono amici".


Agamben L’amico SECÇÃO 01\§03:11/94:
Uno dei temi del libro è, infatti, la critica di quella che l'autore definisce la concezione fallocentrica dell’amicizia che domina la nostra tradizione filosofica e politica.

Agamben L’amico SECÇÃO 01\§03:12/94:
Quando Derrida stava ancora lavorando al seminario da cui il libro è nato, avevamo discusso insieme di un curioso problema filologico che concerneva appunto il motto o grillo in questione.


Agamben L’amico SECÇÃO 01\§03:13/94:
Esso si trova citato, fra gli altri, in Montaigne e in Nietzsche, che lo avrebbero tratto da Diogene Laerzio.

Agamben L’amico SECÇÃO 01\§03:14/94:
Ma se noi apriamo un'edizione moderna delle Vite dei filosofi, nel capitolo dedicato alla biografia di Aristotele (V, 21),  non troviamo la frase in questione, bensí una in apparenza quasi identica, il cui significato è tuttavia diverso e assai meno enigmatico: ‘oi’ (omega con iota sottoscritto) ‘philoi, oudeis philos’, “colui que há (molti) amici, non há nessun amico”.

Agamben L’amico SECÇÃO 01\§05:15/94:
Una visita in biblioteca fu suffciente a chiarire il mistero.

Agamben L’amico SECÇÃO 01\§05:16/94: Nel 1616, appare la nuova edizione delle Vite curata dal grande filologo ginevrino Isaac Casaubon.


Agamben L’amico SECÇÃO 01\§05:17/94:
Giunto al passo in questione - che ancora nell'edizione procurata dal suocero Henry Etienne recitava ‘o philoi’ (o amici) - egli corresse senza esitare l'enigmatica lezione dei manoscritti, che diventava cosí perfettamente intellegibile e, per questo, fu accolta dagli editori moderni.

Agamben L’amico SECÇÃO 01\§05:18/94:
Poiché avevo subito informato Derrida del risultato delle mie ricerche, rimasi stupito, quando il libro fu pubblicato col titolo Politiques de l'amitié, di non trovarvi alcuna traccia del problema.


Agamben L’amico SECÇÃO 01\§05:19/94:
Se il motto - apocrifo secondo i filologi moderni – vi figurava nella sua forma originaria, non era certo per una dimenticanza: era essenziale, nella strategia del libro, che l’amicizia fosse, insieme, affermata e revocata in dubbio.

Agamben L’amico SECÇÃO 01\§06:20/94:
In questo, ìl gesto di Derrida ripeteva quello di Nietzsche.

Agamben L’amico SECÇÃO 01\§06:21/94:
Quando era ancora uno studente di filologia, Nietzsche aveva incominciato un lavoro sulle fonti di Diogene Laerzio e la storia del testo delle Vite (e quindi anche l’emendamento di Casaubon) doveva essergli perfettamente familiare.

Agamben L’amico SECÇÃO 01\§06:22/94:
Ma la necessità dell’amicizia e, insieme, una certa sfiducia verso gli amici era essenziale alla strategia della fìlosofia nietzschiana.


Angamben L’amico SECÇÃO 01\§06:23/94:
Di qui il ricorso alla lezione tradizionale, che già ai suoi tempi non era piú corrente (l’edizione Huebner del 1828 ha la versione moderna, con l'annotazione: legebatur  ‘o philoi’, emendavit Casaubonus).







Agamben L’amico SECÇÃO 02\§07:24/94:
E possibile che a questo disagio dei fIlosofi moderni abbia contribuito il particolare statuto semantico del termine "amico". .

Agamben L’amico SECÇÃO 02\§07:25/94:
È noto che nessuno è mai riuscito a definire in modo soddisfacente il significato del sintagma "ti amo", tanto che si potrebbe pensare che esso abbia carattere performativo - che il suo significato coincida, cioè, con l'atto del suo proferimento.

Agamben L’amico SECÇÃO 02\§07:26/94:
Considerazioni analoghe si potrebbero fare per l’espressione "ti sono amico", anche se qui il ricorso alla categoria del performativo non sembra possibile.


Agamben L’amico SECÇÃO 02\§07:27/94:
Ritengo, piuttosto, che "amico" appartenga a quella classe di termini che i linguisti definiscono non-predicativi, cioè termini a partire dai quali non è possibile costruire una classe di oggetti in cui inscrivere gli enti a cui si attribuisce il predicato in questione.

Agamben L’amico SECÇÃO 02\§07:28/94:
"Bianco”, “duro”, “caldo” sono certamente termini predicativi; ma è possibile dire che "amico" definisce in questo senso una classe consistente?

Agamben L’amico SECÇÃO 02\§07:29/94:
Per strano che possa sembrare, "amico" condivide questa qualità con un'altra specie di termini non-predicativi, gli insulti.

Agamben L’amico SECÇÃO 02\§07:30/94:
I linguisti hanno dimostrato che l'insulto non offende chi lo riceve perché lo riceve in una categoria particolare (per esempio, quella degli escrementi, o degli organi sessuali maschili o femrninili, secondo le lingue), il che sarebbe semplicemente impossibì1e o, comunque, falso.


Agamben L’amico SECÇÃO 02\§07:31/94:
L’insulto è efficace proprio perché non funziona come una predicazione costativa, ma piuttosto come un nome próprio, perche chiama nel linguaggio in un modo che il chiamato non può accettare, e dal quale tuttavia non può difendersi (come se qualcuno si ostinasse a chiamarmi Gastone, sapendo che mi chiamo Giorgio).

Agamben L’amico SECÇÃO 02\§07:32/94:
Ciò che offende nell'insulto è, cioè, una pura esperienza del linguaggio, e non un riferimento al mondo.

Agamben L’amico SECÇÃO 02\§08:33/94:
Se questo è vero, "amico" condividerebbe questa condizione, oltre che con gli insulti, con i termini filosofici che, com'è noto, non hanno una denotazione e, come quei termini che i logici medievali definivano "trascendenti”, significano semplicemente l’essere.












Agamben L’amico SECÇÃO 03\§09:34/94:
Nella Galleria Nazionale di Arte Antica a Roma si conserva un quadro di Giovanni Serodine che rappresenta l’incontro degli apostoli Pietro e Paolo sulla via de martirio.

Agamben L’amico SECÇÃO 03\§09:35/94:
I due santi, immobili, occupano il centro della tela, circondati dalla gesticolazione disordinata dei soldati e dei carnefici che li conducono al supplizio.


Agamben L’amico SECÇÃO 03\§09:36/94:
I critici hanno spesso  fatto notare il contrasto fra il rigore eroico dei due apostoli e il tramestio della folla, accesa qua e là da scandelle di luce quase schizzate a casaccio [ao acaso] sulle braccia, sui volti, sulle trombe.

Agamben L’amico SECÇÃO 03\§09:37/94:
Per parte mia, detengo che ciò che rende questo quadro propriamente incomparabile è che Serodine ha rappresentato i due apostoli cosi vicini, con le fronti quase incollate l'una sull'altra, che essi non possono assolutamente vedersi: sulla via del martirio, essi si guardano senza riconoscersi.

Agamben L’amico SECÇÃO 03\§09:38/94:
Questa impressione di uma prossimità per cosí dire eccessiva è ancoraa acresciuta dal gesto silenzioso delle mani che si stringono in basso, appena visibili.

Agamben L’amico SECÇÃO 03\§09:39/94:
Mi è sempre parso che questo quadro contenga una perfetta allegoria dell'amicizia.

Agamben L’amico SECÇÃO 03\§09:40/94:
Che cos’è, infatti, l'amicizia, se non una prossimità tale che non è possibile farsene né una rappresentazione né un concetto?


Agamben L’amico SECÇÃO 03\§09:41/94: 
Riconoscere qualcuno come amico significa non poterlo riconoscere come "qualcosa".

Agamben L’amico SECÇÃO 03\§09:42/94:
Non si può dire "amico", come si dice "bianco", "italiano", "caldo" - l'amicizia non è una proprietà o una qualità di un soggetto.













Agamben L’amico SECÇÃO 04\§10:43/94:
Ma è tempo di cominciare la lettura del passo di Aristotele che mi proponevo di commentare.

Agamben L’amico SECÇÃO 04\§10:44/94:
Il filosofo dedica all'amicizia un vero e proprio trattato, che occupa i libri ottavo e nono dell'Etica nicomachea.

Agamben L’amico SECÇÃO 04\§10:45/94:
Poiché si tratta di uno dei testi piú celebri e discussi dell'intera storia della filosofia, darò per scontata la conoscenza delle tesi piú consolidate: che non si può vivere senza amici, che occorre distinguere l'amicizia fondata sull’utilità o sul piacere dall'amicizia virtuosa, in cui l’amico è amato come tale, che non è posíbile avere molti amici, che l'amicizia a dístanza tende a produrre oblio, ecc.


Agamben L’amico SECÇÃO 04\§10:46/94:
Tutto questo è arcinoto.

Agamben L’amico SECÇÃO 04\§10:47/94:
Vi è, invece, un passo del trattato che mi pare non abbia ricevuto sufficiente attenzione, benché contenga, per cosí dire, la base ontológica della teoria.

Agamben L’amico SECÇÃO 04\§10:48/94:
Si tratadi 1170a 28-1171b 35.

Agamben L’amico SECÇÃO 04\§10:49/94:
Leggiamo insieme il passo:

Agamben L’amico SECÇÃO 04\§11:50/94:
“Colui che vede sente (aisthanetai) di vedere, colui che ascolta sente di ascoltare, colui che carmmina sente di camminaree cosí per tutte le altre attività vi è qualcosa che sente che stiamo esercitandole (oti energoumen), in modo che se sentiamo, ci sentiamo sentire, e se pensiamo, ci sentiamo pensare, e questo è la stessa cosa che sentirsi esistere: esistere (to einai) significa infatti sentire e pensare.


Agamben L’amico SECÇÃO 04\§12:51/94:
“Sentire che viviamo è di per sé dolce, poiché la vita è per natura un bene ed è dolce sentire che un tale bene ci appartiene.

Agamben L’amico SECÇÃO 04\§13:52/94:
“Vivere è desiderabile, sovrattuto per i buoni, poiché per essi esistere è un bene e una cosa dolce.


Agamben L’amico SECÇÃO 04\§13:53/94:
“Con-sentendo (synaisthanomenoi) provano dolcezza per il bene in sé, e ciò che l’uomo buono prova rispetto a sé, lo prova anche rispeto all’amico: l’amico è, infatti, un altro se stesso (heteros autos).


Agamben L’amico SECÇÃO 04§13:54/94:
“E come, per ciascuno, il fatto stesso di esistere (to auton einai) è desiderabile, cosi - o quasi - è per l'amico.

Agamben L’amico SECÇÃO 04\§14:55/94:
“L’esistenza è  desiderabile perche si sente che essa è una cosa buona e questa sensazione (aisthesis) è in sé dolce.

Agamben L’amico SECÇÃO 04\§14:56/94:
“Anche per l'amico si dovrà allora con-sentire che egli esiste e questo avviene nel convivere e nell’avere in comune (koinonein) azioni e pensieri.

Agamben L’amico SECÇÃO 04\§14:57/94:
“In questo senso si dice che gli uomini convivono (syzen) e non come per il bestiane, che condividono il pascolo. […]

Agamben L’amico SECÇÃO 04\§14:58/94:
“L'amicizia è, infatti, una comunità, e, comme avviene rispetto a se stessi, così anche per l'amico: e come, rispetto a se stessi, la sensazione di esister (aisthesis oti estin) è desiderabile, cosí anche sarà per l’amico".







Agamben L’amico SECÇÃO 05\§15:59/94:
Si tratta di un passo staordinariamente denso, perché Aristotele vi enuncia delle tesi di filosofia prima che non è dato riscontrare in questa forma in nessun altro dei suoi scritti:


Agamben L’amico SECÇÃO 05\§16:60/94: 1)
Vi è una sensazione dell'essere puro, una aisthesis dell'esistenza.

Agamben L’amico SECÇÃO 05\§16:61/94:
Aristotele lo ripete piú volte, mobilitando il vocabolario tecnico dell’ontologia: aisthanometha oti esmen, aisthesis oti estin: l'oti estin è l'esistenza il quod est – in quanto opposta all’essenza (quid est, ti estin).

Agamben L’amico SECÇÃO 05\§17:62/94: 2)
Questa sensazione di esistere è in se stessa dolce (edys).

Agamben L’amico SECÇÃO 05\§18:63/94:. 3)
Vi è equivalenza tra essere e vivere, fra sentirsi esistere e sentirsi vivere.

Agamben L’amico SECÇÃO 05\§18:64/94:
È una decisa anticipazione della tesi nietzschiana secondo cui: "Essere: noi non ne abbiamo altra esperienza che vivere”.

Agamben L’amico SECÇÃO 05\§18:65/94:
(Un’affermazione análoga, ma piú generica si può leggere anche in De An. 415b 13: "Essere, per i viventi, è vivere".)

Agamben L’amico SECÇÃO 05\§19:66/94: 4)
In questa sensazione di esistete insiste un'altra sensazione, specificamente umana, che ha la forma di un con-sentire (synaisthanesthai) l'esistenza dell'amico.

Agamben L’amico SECÇÃO 05\§19:67/94:
L'amicizia è l'istanza di questo con-sentimento dell'esistenza dell’amico nel sentimento dell'esistenza propria.

Agamben L’amico SECÇÃO 05\§19:68/94:
Ma questo significa che l'amicizia ha un rango ontologico e, insieme, politico.

Agamben L’amico SECÇÃO 05\§19:69/94:
La sensazione dell’essere è, infatti, già sempre divisa e con-divisa e l'amicizia nomina questa condivisione.

Agamben L’amico SECÇÃO 05\§19:70/94:
Non vi è qui alcuna intersoggettività - questa chimera dei moderni -, alcuna relazione fra soggetti: piuttosto l’esseres stesso è diviso, è non-identico a sé, e l'io e l'amico sono le due facce - o i due poli - di questa con-divisione.

Agamben L’amico SECÇÃO 05\§20:71/94:
L'amico è, per questo, un altro sé, un heteros autos.
Agamben L’amico SECÇÃO 05\§20:72/94: Nella sua traduzione latina – alter ego – questa espressione ha avuto una lunga storia, che non é qui il luogo di reconstuire. 












Agamben L’amico SECÇÃO 06\§20:73/94:
Ma è importante notaare che la formulazione greca è piú pregnante di quanto intende in essa un orecchio moderno.

Agamben L’amico SECÇÃO 06\§20:74/94:
Innanzitutto il greco - come il latino - ha due termini per dire l’alterità: allos (lat. alius) è l'alterità generica, heteros (lat. alter) è l'alterità come opposizione fra due, l'eterogeneità.


Agamben L’amico SECÇÃO 06\§20:75/94:
Inoltre il latino ego non traduce esattamente autos, che significa "se stesso".

Agamben L’amico SECÇÃO 06\§20:76/94:
L'amico non è un altro io, ma una alterità immanente nella stessità, un divenir altro dello stesso.


Agamben L’amico SECÇÃO 06\§20:77/94:
Nel punto in cui io percepisco la mia esistenza come dolce, la mia sensazione è attraversata da un con-sentire che la disloca e deporta verso l'amico, verso l'altro stesso.

Agamben L’amico SECÇÃO 06\§20:78/94:
L'amicizia è questa desoggettivazione nel cuore stesso della sensazione piú intima di sé.






Agamben L’amico SECÇÃO 07\§21:79/94:
A questo punto il rango ontologico dell'amicizia in Aristotele si può dare per scontato.

Agamben L’amico SECÇÃO 07\§21:80/94:
L'amicizia appartiene alla prote philosophia, perché ciò che in essa è in questione concerne la stessa esperienza, la stessa "sensazione" dell'essere.

Agamben L’amico SECÇÃO 07\§21:81/94:
Si comprende allora perché "amico" non possa essere un predicato reale, che si aggiunge a un concetto per iscriverlo in una certa classe.

Agamben L’amico SECÇÃO 07\§21:82/94:
In termini moderni, si potrebbe dire che "amico" è un esistenziale e non un categoriale.

Agamben L’amico SECÇÃO 07\§21:83/94:
Ma questo esistenziale - come tale inconcettualizzabile - è attraversato tuttavia da un’intensità che lo carica di qualcosa come una potenza politica.

Agamben L’amico SECÇÃO 07\§21:84/94:
Questa intensità è il syn, il "con" che divide, dissemina e rende condivisibile – anzi, già sempre condivisa - la stessa sensazione, la stessa dolcezza di esistere.

Agamben L’amico SECÇÃO 07\§22:85/94:
Che questa condivisione abbia, per Aristotele, un significato politico, è implicito in un passo del testo che abbiamo appena analizzato e sul quale è opportuno tornare:

Agamben L’amico 3SECÇÃO 07\§23:86/94:
“Ma allora anche per l'amico se dovrà con-sentire che egli esiste e questo avviene nel convivere (syzen) e nell’aveninre in comumne (koinonein) azioni e pensieri.

Agamben L’amico SECÇÃO 07\§23:87/94:
In questo senso si dice que gli uomini convivono e non, come per il bestiame, che condividono il pascolo.”

Agamben L’amico SECÇÃO 07\§24:88/94: L'espressione che abbiamo reso con "condividere il pascolo" è en to auto nemesthai.

Agamben L’amico SECÇÃO 07\§24:89/94:
Ma il verbo nemo - che, come sapete, è ricco di implicazioni politiche, basti pensare al deverbale nomos – significa al medio anche "aver parte", e l’espressione aristotelica potrebbe valere semplicemente "aver parte allo stesso".

Agamben L’amico SECÇÃO 07\§24:90/94:
Essenziale è, in ogni caso, che la comunità umana venga qui definita, rispetto a quella animale, attraverso un convivere (syzen acquista qui un significato tecnico) che non è definito dalla partecipazione a una sostanza comune, ma da una condivisione puramente esistenziale e, per cosí dire, senza oggetto: l'amicizia, come con-sentimento del puro fatto di essere.

Agamben L’amico SECÇÃO 07\§24:91/94:
Gli amici non condividono qualcosa (una nascita, una legge, un luogo, un gusto): essi sono con-divisi dall'esperienza dell'amicizia.

Agamben L’amico SECÇÃO 07\§24:92/94:
L'amicizia è la condivisione che precede ogni divisione, perché ciò che ha da spartire è il fatto stesso di esistere, la vita stessa.

Agamben L’amico SECÇÃO 07\§24:93/94:
Ed è questa spartizione senza oggetto, questo con-sentire originale che costituisce la politica.

Agamben L’amico SECÇÃO 07\§25:94/94:
Come questa sinestesia sia politica originaria divenuta nel corso del tempo il consenso a cui affidano oggi le loro sorti le democrazie nell’ultima, estrema e stremata fase della loro evoluzione, è, come si dice, un’altra storia, su cui vi lascio riflettere.

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(Una prima versione di questo texto è stata letta dll’autore in occasione del conferimento del “Prix Européen de l’Essai Chrales Veillon 2006, il 19 febbraio 2007 a Losanna.)

Tradução de José Luiz Caon:




A amizade está tão estreitamente ligada à definição mesma da filosofia que, podemos até dizer que, sem ela, a filosofia não seria propriamente possível.




A intimidade entre amizade e filosofia é assim tão profunda que essa inclui o philos, o amigo, no próprio nome e, como frequentemente ocorre em toda proximidade excessiva, a filosofia corre o risco de não conseguir chegar a se entender.











No mundo clássico, essa promiscuidade, quase uma consubstancialidade do amigo e do filósofo, era dada como favas contadas e é, com certeza, graças a uma intenção de certa maneira arcaizante que um filósofo da atualidade - no momento de lançar a pergunta radical: “Que coisa é a filosofia?” – pôde escrever que essa pergunta pertence a uma questão a ser tratada entre amis.


Hoje, a relação entre amizade e filosofia caiu de fato em descrédito e é com uma espécie de embaraço e de má consciência que aqueles que fazem da filosofia a sua profissão procuram acertar-se com esse parceiro incômodo e, por assim dizer, clandestino no próprio pensamento deles.


Faz muitos anos, eu e um amigo meu, Jean-Luc Nancy, tínhamos decidido trocar cartas sobre o tema da amizade.


Estávamos persuadidos que isso seria o melhor modo de aproximar é de quase “encenarizar” um problema que parecia, de outra maneira, afastar-se de um tratamento analítico.


Eu escrevi primeira carta e esperei, não sem inquietação, a resposta.


Não é esse o lugar de tentar compreender a razão pela qual – ou, talvez, equívocos – a chegada da carta de Jean-Luc significou o término do projeto.


Todavia, é certo que a nossa amizade, - que em nossos propósitos deveria ter aberto um passagem privilegiada em direção ao problema, - pelo contrário,  se tornou obstáculo e ficou, de qualquer modo, pelo menos  provisoriamente, obscurecida.


É por causa de um transtorno análogo e provavelmente consciente que Jacques Derrida escolheu como leitmotiv de seu livro sobre amizade um lema sibilino que a tradição atribui a Aristóteles, lema que nega a amizade no próprio ato com o qual parece afirmá-la: ‘o philoi, oudeis philos’, “ó amigos, não há amigos”.


Um dos temas do livro é, de fato, a crítica daquela concepção que o autor define como sendo a concepção falocêntrica da amizade, a qual domina em nossa tradição filosófica e política.


Quando Derrida se encontrava ainda trabalhando no seminário do qual nasceu o livro, nós tínhamos discutido juntos sobre um problema filológico curioso que tinha a ver exatamente com o lema ou enguiço em questão.


Isso se encontra citado, entre outros, em Montaigne e em Nietzsche, que o teriam tirado de Diógenes Laércio.


Mas, se abrirmos uma edição moderna das Vidas dos filósofos, no capítulo dedicado à biografia de Aristóteles (V, 21), não vamos encontrar a frase em questão, pelo contrário, encontraremos uma de aparência quase idêntica: “oi” (omega com iota subscrito) ‘philoi, oudeis philos’, “aquele que tem (muitos) amigos, não tem amigo algum”.



Uma visita à biblioteca foi suficiente para elucidar o mistério.


Em 1616, aparece a nova edição das Vidas, aos cuidados do grande filólogo genebrino Isaac Causabon.


Junto à passagem em questão – que ainda na edição aos cuidados do sogro Henry Etienne repetia ‘o philoi’ (ó amigos) – ele corrigiu, sem hesitação, a enigmática lição dos manuscritos, a qual se tornava dessa maneira perfeitamente inteligível e, por isso, foi acolhido pelos editores modernos.


Logo depois que havia informado a Derrida sobre o resultado de minhas pesquisas, fiquei estupefato, quando o livro foi publicado com o título de Politiques de l’amitié, pelo fato de não encontrar traço algum sobre o problema.


Se o lema – apócrifo segundo os filólogos modernos – vos aparece figurado na sua forma originária, não era, com certeza, por causa de um esquecimento: era essencial, na estratégia do livro, que a amizade, na dúvida, fosse, ao mesmo tempo, afirmada e anulada.


Nisso, o gesto de Derrida repetia aquele de Nietzsche.


Quando era ainda um estudante de filologia, Nietzsche tinha começado um trabalho sobre as fontes de Diógenes Laércio e a história do texto das Vidas (e, portanto, também a emenda feita por Causabon) tinha que lhe ser perfeitamente familiar.


Porém, a necessidade da amizade e, ao mesmo tempo, uma certa desconfiança em relação aos amigos era essencial à estratégia da filosofia nietzschiana.


Aqui se encontra, o recurso à lição tradicional que, nesses tempos não era mais corrente (por exemplo, a edição Hueber de 1828 traz a versão moderna com a anotação seguinte: legebatur “o philoi’, emendavit Causabonus).







É possível que para esse incômodo dos filósofos modernos tenha contribuído o estatuto semântico particular do termo “amigo”..


Sabe-se que ninguém conseguiu até o presente definir de modo satisfatório o significado do sintagma “te amo”, tanto assim que se poderia pensar que isso tenha caráter performativo – que seu significado coincida, isto é, com o ato de seu proferimento.


Considerações análogas poderiam ser feitas para a expressão “eu te sou amigo”, ainda que aqui o recurso à categoria do performativo não pareça possível.


Considero, porém, que “amigo” pertença àquela classe de termos que os lingüistas definem como não-predicativos, isto é, termos a partir dos quais não é possível construir uma classe de objetos em que  =[seja possível] inscrever os entes aos quais se atribui o predicado em questão.


“Branco”, “duro”, “quente” são certamente termos predicativos; mas, é possível dizer que “amigo” define, nesse sentido, uma classe consistente?


Por estranho que possa parecer, “amigo” condivide essa qualidade com outra espécie de termos não-predicativos, os insultos.


Os linguistas demonstraram que o insulto não ofende aquele que o recebe, porque o recebe numa categoria particular (por exemplo, a dos excrementos, ou dos órgãos sexuais machos ou fêmeos, conforme as línguas), o que seria simplesmente impossível, ou de qualquer forma, falso.


O insulto é eficaz propriamente porque não funciona como uma predicação constatativa, mas antes como um nome próprio, porque ele intima na linguagem de um modo que o intimado não pode aceitar e, todavia, não pode defender-se (como se alguém se obstinasse a me chamar de Gastão sabendo que me chamo Jorge).


Aquilo que ofende no insulto é, a saber, uma pura experiência da linguagem e não uma referência ao mundo.


Se isso for verdadeiro, “amigo” condividiria essa questão, além de com os insultos, também com os termos filosóficos, os quais, como se sabe, não têm uma denotação e, assim, como aqueles termos que os lógicos medievais definiam “transcendentes”, significam simplesmente o ser.












Na Galleria Nazionale di Arte Antica, em Roma, conserva-se um quadro de Giovanni Serodine que representa o encontro dos apóstolos Pedro e Paulo no caminho para o martírio.


Os dois santos, imóveis, ocupam o centro da tela, cercados pela gesticulação desordenada dos soldados e dos carrascos que os conduzem para o suplício.


Os críticos frequentemente fizeram observar o contraste entre o rigor heróico dos dois apóstolos e a agitação da massa, iluminada num e noutro ponto por pingos de luz mal esboçados a esmo aparecendo nos braços, nas faces, nas trombetas.


Quanto a mim, penso que isso que torna esse quadro propriamente incomparável é o fato de Serodine ter representado os dois apóstolos tão próximos, com as testas quase coladas uma na outra, a tal ponto que não podem absolutamente ver-se: no caminho para o martírio, esses se olham sem se reconhecer.


Essa impressão de uma proximidade por assim dizer excessiva é ainda acrescida pelo gesto silencioso das mãos, muito pouco visíveis, que se apertam embaixo.


Sempre me pareceu que esse quadro contém uma perfeita alegoria da amizade.


Que coisa é, de fato, a amizade, a não ser uma proximidade tal que não deixa possibilidade de nós nos fazermos sequer uma representação ou um conceito?


Reconhecer alguém como amigo significa não poder reconhecê-lo como “uma coisa qualquer” =[ou como um “qualquer um”.]


Não se pode dizer “amigo”, como se diz “branco”, “italiano”, “quente” – a amizade não é uma propriedade ou uma qualidade de um sujeito.














Mas, é tempo de começar a leitura da passagem de Aristóteles que eu me propus comentar.


O filósofo dedica, à amizade, um verdadeiro e autêntico tratado, o qual ocupa os livros oito e nove da Ética a Nicômaco.


Visto que se trata de um dos textos mais célebres e discutidos de toda a história da filosofia, dou por sabido o conhecimento das teses mais consolidadas: que não se pode viver sem amigos; que convém distinguir amizade fundada na utilidade ou fundada no prazer da amizade fundada na virtude =[ou sapiência], na qual o amigo é o amado enquanto tal; que não é possível ter muitos amigos; que a amizade à distância tende a produzir o esquecimento, etc.


Tudo isso é arquissabido.


Há, pelo contrário, uma passagem do tratado que me parece não ter recebido suficiente atenção, embora ela contenha, por assim dizer, a base ontológica da teoria.


Trata-se da passagem 1170a 28-1171b 35.


Leiamos juntos esta passagem:


“Aquele que vê, sente (aisthanetai) que vê; aquele que ouve, sente que ouve; aquele que caminha, sente que caminha; assim se passa com todas as outras atividades, nelas há algo que  que sente que estamos exercitando essa alguma coisa, (oti energoumen), de tal modo que nós nos sentimos, isto é, sentimos que sentimos; e se pensamos, sentimos que pensamos, e isso é a mesma coisa que sentimos que existimos: existir (to einai) significa, de fato, sentir e pensar.


“Sentir que vivemos é, por si só doce, pois que a vida é, por natureza, um bem e é doce sentir que um tal bem nos pertence.


“Viver é desejável, sobretudo para os bons, pois que, para esses, o existir é um bem e uma coisa doce.



“Cossentindo (synaisthanomenoi), isto é, o com+sentir, provam doçura pelo bem em si e isso que o homem bom prova em relação a si prova-o também em relação ao amigo: o amigo é, de fato, um outro si mesmo (heteros autos).


“E como, para cada um de nós, o fato mesmo de existir (ton auton einai) é desejável, assim – ou quase – é para o amigo.


“A existência é desejável, porque sentimos que ela é uma coisa boa e essa sensação (aisthesis) é, em si mesma, doce.


“Também para o amigo deveríamos então cossentir que ele existe e isso acontece no conviver e no ter em comum (koinonein) ações e pensamentos.


“Nesse sentido, diz-se que os homens convivem (syzen) e não como para os animais rebanho que condividem o pasto... [...] =[Realce da tradução./


“A amizade é, de fato, uma comunidade de pelo menos dois, e, como acontece em relação a si mesmo, assim também acontece para o amigo: e como, em relação a si mesmo, a sensação de existir (aisthesis oti estin) é desejável, assim também o será para o amigo.”






Trata-se de uma passagem extraordinariamente densa, pois que aqui Aristóteles nos enuncia teses de filosofia primeira tais que não nos é dado reencontrá-las dessa forma em nenhum outro dos escritos dele:


Aqui há uma sensação do ser puro, uma aisthesis da existência.


Aristóteles repete-o muitas vezes, mobilizando o vocabulário técnico da ontologia: aisthanometha oti esmen, aisthesis oti estin: o “oti estin” é a existência, o quod est – enquanto oposta à existência (quid est, ti estin).


Essa sensação de existir é em si mesma doce (edys).



Aqui há equivalêcia entre ser e viver, entre sentir-se e exisitir e sentir-se e viver.


É uma antecipação decisiva da tese nietzcheana segundo a qual: “Ser: nós não temos disso outra experiência senão viver”.


(Uma afirmação análoga, mas mais geral pode ser lida também em De Anima. 415b 13: “Ser, para os viventes, é viver”.)


Nessa sensação de existir insiste uma outra sensação, especificamente humana, que tem a forma de um cossentir (synaysthanesthai) a existência do amigo.



A amizade é a instancia desse cossentimento da existência do amigo no sentimento da existência própria.


Mas isso significa que a amizade tem um grau ontológico e, simultaneamente, político.


A sensação de ser está, de fato, já sempre dividida e codividida e a amizade nomeia essa codivisão.


Não há aqui nenhuma intersubjetividade – essa quimera dos modernos -, não há aqui nenhuma relação entre sujeitos: antes pelo contrário o ser mesmo é dividido, é não-identico a si, e o eu e o amigo são as duas faces – ou os dois pólos – dessa codivisão.


O amigo é, por isso, um outro si mesmo, um heteros autos. Na sua tradução latina, essa expressão, alter ego, teve uma longa história, embora não seja aqui o lugar de a reconstruir.













Mas é importante observar que a formulação grega é mais densa de tudo quanto nela ouve um ouvido moderno.


Em primeiro lugar, o grego – como o latim – tem dois termos para dizer a alteridade: allos (lat. alius) é a alteridade genérica ou de gênero; heteros (lat. alter) é a alteridade enquanto oposição entre dois, isto é, a heterogeneidade.

 
Alem disso, o termo latino ego não traduz exatamente autos, que significa “si mesmo”.


O amigo não é um outro eu, mas uma alteridade imanente na simesmidade, um tornar-se outro do mesmo.


No momento em que eu percebo a minha existência enquanto doce, a minha sensação fica atravessada por um cossentir  que a desloca e expatria para o amigo, para o outro mesmo.


A amizade é essa dessubjetivação no coração mesmo da sensação mais íntima de si mesmo. =[Realce da tradução./






A essa altura, o grau ontológico da amizade em Aristóteles pode ser dado como sabido.


A amizade pertence à prote philosphia, porque isso que nessa está em questão concerne à mesma esperiência, à mesma “sensação” do ser.


Agora, compreendemos, porque “amigo” não possa ser um predicado real, que se ajunta a um conceito para inscrevê-lo numa certa classe.


Em termos modernos, poder-se-ia dizer que “amigo” é um existencial e não um categorial.


Mas, esse existencial – enquanto tal inconceitualizável – está atravessado, todavia, por uma intensidade que o carrega com alguma coisa como uma potência política.


Essa intensidade é o syn, o “com” que divide, dissemina e torna condividível – a antes já sempre condividida – sensação mesma, a doçura mesma de existir.


Que essa codivisão tenha, para Aristóteles, o significado político, fica implícito numa passagem do texto que acabamos de analisar e sobre o qual é oportuno retornar:


“Mas, então, também para o amigo dever-se-á cossentir que ele existe e isso ocorre no conviverem (syzen) e no se produzirem em comum (koinonein) ações e pensamentos.


Nesse sentido, diz-se que os homens convivem e não, como para os animais, os quais condividem o pasto.”


A expressão que transpomos com a de “condividir o pasto” é en to auto nemesthai.


Todavia, o verbo nemo – que, como se sabe, é rico em implicações políticas, basta que pensemos no derivado nomos – significa, na voz média, também “ter parte em”, e a expressão aristotélica poderia valer simplesmente como “ter parte no mesmo”.  


É essêncial, em todo caso que a comunidade humana fique aqui definida, em relação à comunidade animal, por meio de um conviver (syzen, adquirindo aqui um significado técnico) que não está definido na participação numa substância comum, mas numa condivisão puramente existêncial, por assim dizer, sem objeto: a amizade, enquanto cossentimento do puro fato de ser.


Os amigos não condividem algo (um nascimento, uma lei, um lugar, um gosto): eles estão codivididos pela experiência da amizade.


A amizade é a condivisão que precede a toda divisão, porque isso que há de ser compartido é o fato mesmo de existir, a vida mesma.


E é esse compartilhamento sem objeto, esse cossentir original que constitui a política.


De que maneira essa sinestesia ou política originária se tornou, no correr do tempo, o consenso no qual hoje as democracias confiam o próprio destino, numa última, extrema e extremada fase de sua evolução, é, como e diz, uma outra história, sobre a qual vos deixo refletindo.
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Uma primeira versão desse texto foi lida pelo autor, por ocasião do recebimento do “Prix Européen de l’Essai Charles Veillon, 2006”, em 19 de fevereiro de 2007, em Losanna.

Comentários de José Luiz Caon:

SECÇÃO 01: =[Onde se mostra que a sapiência não se dá sem a amizade nem a amizade mais amiga se dá sem a sapiência.]








=[De fato, na palavra “filosofia”, “filo” quer dizer amigo e “sofia” quer dizer sapiência. SER AMIGO DA SAPIÊNCIA É SER FILÓSOFO. Mas, ser amigo da filosofia não significa necessariamente ter amigos nem ter conhecimentos filosóficos. É possível ter conhecimentos filosóficos e passar num concurso de professor de filosofia sem ser amigo da sapiência. Outrossim, pode-se ter amigos por causa da utilidade de tê-los, ou por causa do prazer de tê-los, não por causa da sapiência. Mas, ter conhecimentos filosóficos e, apesar disso, ser amigo por causa da sapiência, é o que mostra o autor desse minúsculo ensaio, Giorgio Agamben.]

Aparentemente, essa consubstancialidade, mais que promiscuidade, invocaria a perda da diferença e, portanto, da singularidade. A amizade sapiencial não queima a identidade, pelo contrário, remete a singularidade até os últimos confins.

















Aqui, evidentemente analítico não é psicanalítico!





















É preciso deter-se longamente nesse equívoco que começou a ser desmantelado já em 1616, mas que, apesar disso, continuou grassando, inclusive na mente do próprio Derrida!!! Aqui está o cerne de uma questão que foi denegada até pelo próprio Derrida!



Hoje, todo mundo diz sem saber o que está a dizer que “tem muitos amigos”. Mas, quem é que ousaria dizer que é “amigo de”?















Essa estoucada precisa de Agamben precisa ser, como disse, muitas vezes retomada. É como a mudança da concepção astronômico de Ptolomeu para a de Copérnito. Todo o mundo a recita, mas, poucos vivem de acordo com o que se diz com a concepção copernicana.



































Os cochilos inglórios de Nietzsche e de Derrida não podem mais ser tolerados!!!




















SECÇÃO 02. O termo “amigo” participa da mesma ordem dos termos que utilizamos como insultos!!! A argumentação de Agamben é precisa e incisiva. Mas, poderia ser contestada? De qualquer forma, não dá para se ficar indiferente a ela.



























Certamente, “amigável” caberia na categoria como a de “branco”, “duro”, “quente”.





































SECÇÃO 03: A figura invocada por Agamben, partindo da tela do pintor de curta vida, Giovanni Serodine (1600-1631), não seria um argumento não fosse ela repincelada com palavras precisas e incisivas como Agamben sabe fazer. Poder-se-ia encerrar o pequeno ensaio com essa terceira secção: “l'amicizia non è una proprietà o una qualità di un soggetto” (a amizade não é uma propriedade ou uma qualidade de um sujeito), que, sendo apofática, ilustraria perfeitamente a tela de Serodine. 




















Essi si guardano senza riconocersi”, isto é, Pedro e Paulo se olham sem se reconhecer. É o enigma de dois olhares que sugere dois desejos sem nenhuma demanda!!!









Aqui, aparece a figuração de uma máxima união sem nenhuma fusão ou confusão.








E com Agamben, podemos dizer: “Dois amigos não se fundem!”



Trata-se de amizade entre dois amigos apenas (a penas!),


SECÇÃO 05: Agora não dá para não retornar aos Livros 08 e 09 da Ética a Nicômaco, por Aristóteles. Outrossim, o De Amicitia, de Cícero é um outro tema que ressoa a filosofia ou teoria da amizade de Aristóteles. Há que também rever ensaios como o de Montaigne, Eric Fromm, etc. Guardem-se os termos CONDIVIVIDIR (coisa que o gado faz ao condividir o pasto) e o COMPARTIR (coisa que somente os homens podem fazer quando houver, além da comunhão, o diálogo!!!).






































Essa concepção aristotélica que junta sentir e pensar será retomada também por Kant quando fala que as intuições sem os conceitos são cegas e esses, sem aquelas, vazios. Outrossim, mesmo com a psicanálise freudiana a atividade de pensar e de sentir não é apenas consciente ou pré-consciente, mas, também inconsciente. Como a atividade do coração e dos pulmões, essa atividade de existir, de sentir e de pensar, não cessa quando dormimos: somente cessa com a morte!










Agamben escreve “co-sentire” que é “sentir com”, que eu escrevo “cossentindo” ou “com+sentindo”.































SECÇÃO 05: Enquanto Parmênides e Platão quase que expurgam a sensibilidade (aisthesis), Aristóteles não vê inteligibilidade sem sensibilidade. O cristianismo platônico é angelical, mas Jesus Cristo não se encarnou num anjo...
















































A política nasce da amizade e não a amizade da política: sem amizade, a política é mentira.






Isto é, não são as boas combinações que fazem bons amigos, é a amizade que produz boas combinações.









SECÇÃO 06. O outro de mim mesmo e o outro do outro ao se encontrarem fundamentam a amizade. Por isso, se é amigo porque se é amigo. O eu de mim mesmo e o eu do outro (próximo) estão sempre em reticências: mas, sem o eu de mim mesmo e o eu do outro (próximo), não há o encontro do outro de mim mesmo com o outro do outro. A amizade é um jogo entre amigos que se mantém vivo somente enquanto houver jogo. Mas jogo sem diálogo do tipo pinguepongue é punheta ou siririca em cabo de vassoura. Não muda nada, só incha a mão ou o dedo!
































SECÇÃO 07: A razão porque “amigo” não é predicado. De fato, os amigo não condivide experiências com outro amigo, o amigo se codivide para condividir.










































































Isto é, ir a um pequineque para compartir aquilo que se leva já dividido e não para divir aquilo que se leva individido. Os amigos jantam juntos porque são amigos e não jantam juntos para ficarem amigos